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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), I, 13
 
originale
 
[13] Haec ego ut accepi, sudore frigido miser perfluo, tremore viscera quatior, ut grabattulus etiam succussu meo inquietus super dorsum meum palpitando saltaret. At bona Panthia: "Quin igitur", inquit "soror, hunc primum bacchatim discerpimus vel membris eius destinatis virilia desecamus?" Ad haec Meroe - sic enim reapse nomen eius tunc fabulis Socratis convenire sentiebam -: "Immo" ait "supersit hic saltem qui miselli huius corpus parvo contumulet humo," et capite Socratis in alterum dimoto latus per iugulum sinistrum capulo tenus gladium totum ei demergit et sanguinis eruptionem utriculo admoto excipit diligenter, ut nulla stilla compareret usquam. Haec ego meis oculis aspexi. Nam etiam, ne quid demutaret, credo, a victimae religione, immissa dextera per vulnus illud ad viscera penitus cor miseri contubernalis mei Meroe bona scrutata protulit, cum ille impetu teli praesecata gula vocem immo stridorem incertum per vulnus effunderet et spiritum rebulliret. Quod vulnus, qua maxime patebat, spongia offulciens Panthia: "Heus tu" inquit "spongia, cave in mari nata per fluvium transeas." His editis abeunt remoto grabattulo varicus super faciem meam residentes vesicam exonerant, quoad me urinae spurcissimae madore perluerent.
 
traduzione
 
?Come intesi quelle parole cominciai a sudar freddo e presi a tremare tutto fin nelle viscere, tanto che anche il letto mi si mise a traballar sulla schiena, mentre l'amabile Pantia continuava: 'Allora, sorella, cominciamo con questo? Facciamo come le Baccanti? Lo riduciamo a pezzettini, oppure lo leghiamo e poi gli tagliamo i testicoli?' ?'Ma no,' replic? Meroe (a quel che me ne aveva detto Socrate, questo nome le si addiceva proprio), 'che resti vivo, invece, cos? getter? una manciata di terra sul corpo di questo miserabile' e, cos? dicendo, rovesciata la testa di Socrate da un lato, gli immerse la spada nel collo fino all'elsa; poi accost? alla ferita un piccolo otre e ne raccolse il sangue che sgorgava a fiotti, senza farne cadere nemmeno una goccia. Con questi occhi io vedevo tutta la scena. Poi l'ottima Meroe, per adempiere, credo, in tutto e per tutto al rituale di un sacrificio in piena regola, affond? la mano in quella ferita, frug? dentro fino alle viscere e trasse il cuore di quel povero amico mio che, dalla gola tutta squarciata per la violenza del colpo, ancora mandava una voce, un sibilo indistinto, un gorgoglio. ?'O spugna nata dal mare' intanto cantilenava Pantia e tamponava con la spugna la ferita l? dov'era pi? larga 'acqua di fiume non sorpassare.' ?Compiuta ogni cosa se ne andarono; prima per? mi tolsero il letto di dosso, si piazzarono sopra di me a gambe divaricate e mi pisciarono in faccia inondandomi tutto del loro fetore.
 

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